Se l´etimologia di Rosate risale all´epoca dei Celti, i più antichi reperti archeologici ritrovati “in loco” non vanno oltre i Romani. Tuttavia l´ipotesi avanzata per l´etimologia ha un suo fondamento, perché se Rosate fu capopieve in gran parte lo dovette all´importanza che aveva assunto precedentemente come “pagus” e si sa per certo che i Romani riproposero le gerarchie territoriali operate dai Celti; tuttavia occorre ricordare che questa continuità non sempre si manifestò in modo così evidente in tutte le località.
In mancanza di dati consistenti forniti dallo studio dell´archeologia, si può tentare di ricostruire l´aspetto del paesaggio di un tempo attraverso la toponomastica, che permette di spiegare adeguatamente i motivi che hanno indotto i Celti ad insediarsi nella zona in questione. Il paesaggio rosatese, e più in generale il territorio della “pieve”, era caratterizzato dalla vicinanza del fiume Ticino e dall´abbondanza dei boschi; fu dunque la presenza delle acque e degli alberi la condizione primaria che consentì, anzi facilitò, l´insediamento dei Celti.
La circostanza che l´acqua abbia determinato o comunque influenzato la storia di Rosate non ha bisogno di dimostrazione; meno chiaro risulta invece il ruolo che hanno avuto i boschi. Sembra che ricoprissero gran parte del territorio, come ancor oggi dimostrano i toponimi Cerro (a Sud di Binasco), S. Maria del Bosco (a Sud di Ozzero), Casorasca, Coronasca e Farasca, con il significato di boschi appartenenti alle comunità di Casorate, Coronate e Fallavecchia rispettivamente. Questa configurazione del territorio può spiegare l´antica presenza delle fornaci, che per funzionare avevano bisogno di legna, ma soprattutto di argilla.
I Romani lasciarono segni più tangibili del loro insediamento come l´iscrizione di AULLUS COM e quella dedicata alle Dee Matrone, ora dispersa; le tombe in mattoni rinvenute dietro l´abside di S. Stefano, in un´area utilizzata come cimitero almeno fino all´inizio del XIX secolo; le tracce dell´organizzazione territoriale e della centuriazione, che nella zona attorno alla chiesa di S. Giuseppe risultano ancora chiaramente visibili, mentre all´esterno si sono quasi del tutto perse a causa delle coltivazioni, se non rimanessero, quale testimonianza, i toponimi “pra santè”, “chiappa sentiero”, intesi come asse centuriale, e “trebbiano”, inteso coni e incrocio di tre strade. Sembra che l´area abitata in epoca romana si estendesse lungo l´attuale via Roma parte di via Garibaldi e via S. Giuseppe, zona corrispondente alla porzione più antica del Borgo Grande; il cimitero era situato a fianco della strada di accesso al villaggio, l´odierna via XXV Aprile, nei pressi del luogo dove in seguito sorse la chiesa di S. Stefano. Poiché, com´è noto, i cimiteri venivano localizzati lungo strade situate all´esterno dell´abitato, si deduce che la viabilità romana abbia subito dei cambiamenti a partire dall´Alto Medioevo. Tali modifiche avvennero in seguito ad un probabile abbandono della zona circostante il cimitero; quando, infatti, nell´Alto Medioevo, la famiglia Avvocati si insediò a Rosate, scelse l´area attorno alla chiesa di S. Stefano per l´edificazione del proprio “castello”, dalla forma planimetrica tipicamente ovoidale e svincolato in parte dalla maglia centuriale romana, come dimostra ancor oggi l´orientamento di via XXV Aprile. Il momento di abbandono appena ricordato, convalidato dal toponimo “deserto´, citato in un atto del 1174, coincise con una serie di invasioni barbariche, avvenute tra il V e il VI secolo.
Anche se non vi sono prove sicure, si può comunque supporre che la prima chiesa di Rosate ad essere costruita fu proprio quella di S. Stefano. Infatti trattandosi di una chiesa “cimiteriale” è possibile che fosse sorta su un´area demaniale forse già prima del VI secolo; non c´è da stupirsi di questa localizzazione perché casi analoghi si verificarono anche in altri luoghi (per esempio a Verdesiaco).
I primi anni della diffusione del Cristianesimo non sono testimoniati da altri reperti, oltre alla chiesa “matrice” appena citata. Più difficile risulta confermare l´esistenza di un battistero come organismo architettonico autonomo. Si può ricordare l´esistenza di una piccola chiesa, dedicata a S. Giovanni Battista, situata nell´attuale vicolo omonimo, anche se nel 1564 la stessa intitolazione veniva riferita ad una cappella in S. Stefano. La presenza di una vasca battesimale esagonale all´interno di S. Stefano, come dimostra una planimetria redatta nel 1573, è indizio di antichità, benché, in questo modo, il battistero risulti inglobato nella chiesa.
I Longobardi, nell´occupare L´Italia, si stanziarono secondo una gerarchia di centri, chiamati “fare” situati vicino a località già utilizzate precedentemente; ad esempio nella zona oggetto della presente ricerca sia Faraciola (ora Morimondo) sia Fara Vetula (ora Fallavecchia) sorgevano nei pressi di Basiano e di Coronate. Una fara che rivestì un ruolo particolare fu invece Ozzero, dato che vi risiedeva il “gastaldo”, funzionario regio; la località che doveva accogliere un personaggio di tale importanza non veniva certo scelta a caso, ma secondo criteri di strategia militare: da Ozzero in effetti si poteva controllare con facilità l´abitato di Abbiategrasso.
Non è ancora stata rintracciata la necropoli dei Longobardi, ma numerosi riferimenti toponomastici, come Gaggiano e Gaggianese, con il significato di “proprietà recintata”, e Brugunda, termine longobardo proveniente forse dal celtico “brug”, testimoniano ancor oggi la loro antica presenza.
L´iniziale distinzione tra centri longobardi e centri preesistenti scomparve con il passare del tempo, favorendo così la fondazione delle corti, piccoli agglomerati insediativi, sorti in luoghi abbandonati o in zone nuove a discapito dei villaggi limitrofi. La situazione che più sembra adattarsi al caso di Rosate è quella che vede nell´occupazione della parte abbandonata l´origine del castello degli Avvocati, che in questa fase non erano ancora vassalli dell´Arcivescovo, ma discendenti di un ramo della famiglia “da Besate”.
Si suppone che Rosate facesse parte della ´corte´ di Basiano, poiché in quella località trovava posto un´”arimannia” formata da beni di proprietà regia (l´iniziatore di questo sistema fu Autari tra il 584 e il 590 d.C.), che il sovrano diede in usufrutto alle “fare”, costituite da gruppi di guerrieri, in cambio di un servizio locale di guardia stabile e fedele. Poiché le fare citate poco sopra erano localizzate a breve distanza l´una dall´altra, sulla strada chiamata “mercantesca”, che collegava Pavia al Lago Maggiore, e si trovavano nelle adiacenze del Ticino, si deve pensare che esse rivestissero funzioni di controllo sulle vie di comunicazione ritenute particolarmente importanti.
Le corti dipendenti dalle fare non sempre individuavano un´unica località, bensì venivano ad inglobarne più d´una, come nel nostro caso: sia Rosate sia Gudo, forse fondata dai Goti intorno al V secolo, dipendevano infatti da Basiano.
Una volta convertiti al Cristianesimo, i Longobardi furono prodighi di aiuti verso il clero, sia con donazioni, sia mediante l´edificazione di chiese. A Rosate non ci sono testimonianze di chiese intitolate a santi che facciano esplicito riferimento ai Longobardi; tuttavia sapendo che tra la popolazione longobarda si trovavano degli “ariani” la chiesa di S. Martino potrebbe far pensare a una dedica esaugurale. Pure la chiesa di S. Salvatore, che si trovava in località Bettola di Calvignasco, può essere ritenuta di fondazione longobarda, come anche le chiese dedicate a S. Giovanni Battista e a S. Pietro.
Non è ancora stato possibile accertare con sicurezza l´antica presenza dei Franchi; tuttavia la chiesa di S. Maurizio e forse anche quella di S. Martino (santo francese) potrebbero essere considerate di fondazione franca. E´ noto che i vincitori dei Longobardi riorganizzarono il territorio conquistato, sia nel settore laico, sia in quello religioso, ed introdussero le “decime” per dare sostentamento al clero facente capo alle varie “pievi”.
E´ significativo che attorno alla chiesa di S. Maurizio, fino a prova contraria di origine franca, fossero sorte le case dell´ente ecclesiastico pievano, abitate dai canonici, mentre sarebbe stato più logico pensarle adiacenti alla chiesa di S. Stefano.
Oltre a Rosate, probabilmente già prima dell´anno Mille, risultavano abitate le seguenti località: Arlugo con la cappella di S. Marcellina, dipendente dal famoso monastero milanese di S. Ambrogio; la cascina di Mezzo con la cappella dei SS. Gervaso e Protaso, forse eretta in omaggio alla Chiesa milanese; la cascina Rota con la cappella di S. Pietro apostolo; la cascina Rancese con la cappella dei SS. Cosma e Damiano, probabilmente edificate in omaggio alla Chiesa pavese; Rezano con la chiesa di S. Ambrogio, collegata all´omonimo ospedale.
Il castello rosatese prese nuovo impulso dopo il periodo compreso tra il 1018 e il 1031, epoca in cui l´Arcivescovo Ariberto, come aveva fatto il suo predecessore Landolfo Il a proposito di altre pievi, infeudò la pieve di Rosate ad Anselmo IV Avogadri, o Avvocati, per ricompensarlo dell´attività svolta come avvocato della Curia, con la possibilità, fra l´altro, di poter erigere altri castelli nel territorio di sua competenza senza diritti giurisdizionali (concentrati nel castello di Basiano, in parte ancora di pertinenza regia). Sembra che in un primo tempo la “Bulgaria” (o “Burgaria”) fosse stata concessa dall´Imperatore al vescovo di Pavia nel 977; l´infeudamento della pieve di Rosate agli Avogadri non sarebbe stata quindi un´iniziativa milanese, anche se tale conclusione andrebbe verificata.
Una notizia che merita di essere approfondita riguarda la presenza della famiglia Pusterla, i cui beni furono confiscati da Luchino Visconti nel 1339 (la vicenda è narrata nell´epilogo del romanzo di C. Cantà “Margherita Pusterla”); ciò significa che alcuni terreni erano rimasti alla Curia milanese e, in seguito, erano passati al Capitolo del Duomo, che nel 1297 li diede in “gestione” ai Pusterla; analoga situazione può essere riscontrata nel “Seprio”.
Illuminante a questo proposito è anche la storia di Casorate: nell´849 fu donata dall´Imperatore al vescovo di Pavia che vi esercitava il potere temporale, sebbene, dal punto di vista ecclesiastico, dipendesse da Milano; tale circostanza è confermata anche nel 976.
Gli Avogadri erano quindi “valvassori” dell´Arcivescovo e come “domini” di Rosate riscuotevano le “decime” della pieve. Dal 1180 subinfeudarono i loro privilegi ai “da Rosate” e ai “da Terzago”. Per quanto riguarda la prima famiglia non si hanno notizie antiche, mentre un ramo della seconda abitò a Rosate, nell´attuale via S. Giuseppe, fino al XVIII secolo e forse oltre, e in più risultò possedere una parte del castello di Basiano.
All´interno del castello degli Avogadri (chiamato “vecchio” nel 1372), la cui forma è ancora visibile nel tracciato dell´odierna via Rimembranze, parte di via Gallotti e via Confaloniera, si trovava la chiesa pievana di S. Stefano, mentre la canonica, come già si è accennato, sorgeva all´esterno, anche se nelle immediate vicinanze; è questa una situazione anomala che meriterebbe di essere approfondita. La “canonica” nacque ufficialmente nel 1059 con l´atto di fondazione della “collegiata”: sull´esempio di S. Arialdo, che a Milano in quegli stessi anni aveva istituito una struttura simile, anche a Rosate un edificio venne destinato ad accogliere i canonici che avevano l´obbligo di risiedere nella località capo-pieve per condurre vita in comune. L´attuale casa del prevosto nel XVIII secolo faceva parte del mappale 931 comprendente sei case; si trattava quindi di un piccolo “quartiere” dove i canonici alloggiarono almeno fino all´epoca delle riforme attuate da S. Carlo. Nel 1398 i canonici di Rosate erano dodici, compreso il prevosto; altrettanti se ne potevano contare nel 1455. Nel 1564 solo tre canonici risiedevano a Rosate, con il prevosto, nelle case canonicali ancora abitabili. Sicuramente la fondazione del cenobio cistercense a Morimondo ebbe influenze anche a Rosate, soprattutto dal punto di vista dell´agricoltura, favorendo in modo indiretto il sorgere di altre cascine sparse nel territorio, che evitarono ai massari la fatica di compiere continui spostamenti; tra le cascine edificate in questo periodo si possono ricordare la Bertora e la Canobbia, sorte inizialmente con le tipiche caratteristiche delle grange. Per Rosate il XII secolo non fu certo un periodo fortunato: secondo la ricostruzione del Giulini il Barbarossa distrusse parte del paese in due occasioni, nel 1154 e nel 1167; una delle cause della distruzione potrebbe essere messa in relazione alla circostanza che gli Avogadri erano di parte guelfa e alleati di Milano.
L´ipotesi che il Borgonuovo abbia assunto tale denominazione perché ricostruito sui resti del borgo distrutto dal Barbarossa è priva di fondamento in quanto al contrario fu oggetto di una nuova espansione di Rosate, avvenuta durante il periodo comunale mantenendo quasi inalterate le divisioni poderali di probabile origine romana. Il Borgonuovo di Rosate è da considerare a tutti gli effetti il risultato di una nuova espansione; infatti se si fosse trattato di una ricostruzione, il borgo si sarebbe chiamato “maggiore”. Risulta strana la mancanza di edifici religiosi in questo borgo, a meno che non si possano localizzare le scomparse chiese di S. Bartolomeo e S. Vittore proprio lungo l´attuale via Cavour. La più antica citazione del Borgonuovo risale al 1182, mentre solo pochi anni prima, nel 1174, Rosate veniva chiamata “borgo”; altro elemento tipico in grado di contraddistinguere un borgo rispetto a un semplice villaggio era la presenza del mercato, che a proposito di Rosate viene indicata per la prima volta nel 1190; anche l´ospedale era senza dubbio una struttura in grado di qualificare un insediamento. A partire dal 1180 gli Avogadri iniziarono a perdere d´importanza, anche se nella “Matricula nobilium familiarum mediolanensium” del XIV secolo la famiglia risultava ancora citata e continuò a essere presente nelle vicende rosatesi almeno fino al ´700. Nel XII secolo Rosate visse in prima persona la guerra tra Milano e Pavia, trovandosi nella zona di confine. Milano cercò di rafforzare castelli e fortificazioni situati all´interno di quest´area e Rosate fu la località maggior mente interessata dalle opere di difesa, che vennero costruite, con il legname acquistato dall´abbazia di Morimondo, tra il 1236 e il 1265. A ragione dunque si può ritenere che la forma urbana di Rosate ancora oggi visibile venne definita proprio in questa occasione. Inoltre occorre ricordare la fondazione di Villanova, citata nel 1224; si trattava di un villaggio fortificato e per favorirne l´insediamento fu attivata una serie di incentivi, soprattutto di natura fiscale. Tuttavia l´operazione non ebbe grande successo, perché già nel ´300 la località veniva ricordata come semplice cascina.
I canonici vivevano con il reddito delle “prebende canonicali”, introdotte nel 1262, e dovevano provvedere alla “cura” delle varie chiese dislocate nella pieve; non essendo più obbligatoria la residenza dei canonici nella località capo-pieve, si diede di fatto avvio alla formazione delle parrocchie.
Il toponimo “pescheria”, tuttora usato per individuare l´attuale via Garibaldi, conferma l´utilizzo da parte del clero locale di un invaso per l´allevamento del pesce; non è chiaro però se tale invaso fosse di proprietà dei canonici o dei frati ospitalieri, Templari o Crociferi, che gestivano l´ospedale di S. Ambrogio, citato già nel XII secolo e da non confondere con l´istituzione religiosa che si trovava nell´attuale cascina omonima. L´ipotesi si basa sul fatto che l´allevamento del pesce era prerogativa del signore locale o, più verosimilmente, di quegli ordini religiosi obbligati a mangiare pesce al venerdì. Anche a Vermezzo sorgeva una peschiera, come si può vedere sulla mappa del catasto “teresiano”.
Tra gli enti ecclesiastici, oltre ai canonici e ai frati ospitalieri appena citati, si trovavano gli Umiliati con una casa femminile composta da sette suore. La presenza degli Umiliati potrebbe convalidare il ruolo egemone di Rosate in campo economico e amministrativo. Se gli Umiliati lavoravano le fibre tessili, altri pensavano a venderle, come dimostra l´occupazione di alcuni componenti della famiglia Resta (feudatari di Noviglio con interessi anche a Rosate), che tra il XV e il XVI secolo risultavano svolgere l´attività di commercianti di cotone e di lana; la presenza dell´allevamento di pecore è confermata già a partire dal ´300.
Individuare con precisione il luogo in cui sorgeva il convento delle Umiliate non è impresa semplice, poiché i documenti storici riportano la generica espressione “in pratomaggiore”, zona compresa tra l´attuale vicolo Orti, via Galloiti e la roggia Mischia; un aiuto in tale direzione potrebbe provenire dagli sviluppi successivi. L´esigenza di una riforma degli Umiliati era già avvertita da tempo dal settore femminile, che si autoriformò aderendo alla regola di 5. Agostino. In questo senso potrebbe essere interpretata la fondazione, nel 1494, di un nuovo monastero con il titolo di S. Maria della Consolazione, che utilizzò alcuni locali situati nell´odierna via XXV Aprile almeno fino al 1502, quando venne trasferito a Milano presso la chiesa detta “della Stella”, fuori porta Tosa, nei pressi dell´attuale largo Augusto. La fondazione avvenne per iniziativa dei fratelli Montenari (o Montenati) e Candiani, cittadini milanesi che avevano interessi anche a Rosate.
A proposito di conventi occorre ricordare che nel 1506 venne fondato un convento agostiniano maschile, approvato da Papa Giulio Il, per volontà dei padri Guido, Antonio e Pietro, appartenenti al convento di S. Marco di Milano, su terreni situati a Bettola e donati da Marchiolo Avogadri di Bubbiano; nel ´700 un Sangallo era ancora livellario al convento di S. Marco di una casa in Borgo Grande, mentre altre proprietà erano dislocate intorno a Bettola.
Nel 1269 il Naviglio Grande venne ampliato da Abbiategrasso a Milano; più in generale l´escavazione dei navigli, pur con intenti militari, permise un netto miglioramento sia dei trasporti, sia dell´agricoltura, favorendo il sorgere di nuove cascine, anche in zone in cui i terreni risultavano meno produttivi rispetto ad altri, come ben suggerisce ad esempio l´etimologia del toponimo Malpaga.
Per quanto riguarda le vicende politiche e sociali andrebbe ricordato che nel 1263 i Torriani detennero il nuovo castello, anche se per un breve periodo di tempo, essendo stati sconfitti dai Visconti. Nel 1325 il feudo, che fu degli Avogadri, passò a Marco Visconti, protagonista del famoso romanzo di Tommaso Grossi scritto nel 1834. Il nuovo castello non venne a soppiantare quello vecchio, tant´è vero che in un fatto di cronaca del 1323 si dice che il castello degli Avogadri esisteva ancora. Del castello nuovo è rimasta solo la torre d´ingresso, ancora oggi visibile nei pressi del parco AVIS, destinata in seguito ad uso residenziale, mentre completamente scomparso risulta il fossato con acqua che lo circondava.
Nel XIV secolo probabilmente si diffuse la coltivazione del riso e ciò contribuì sicuramente ad aumentare l´importanza di Rosate, come testimonia la presenza di diversi studi notarili, segno di una vita amministrativa in fase di espansione.
Nel 1450, quando gli Avogadri non detennero più cariche pubbliche, il feudo di Rosate venne assegnato agli Stampa, che in seguito lo persero e lo riebbero in alternanza con i Varese. Nel borgo però c´era posto anche per altre famiglie nobili come i Resta, con Giovanni Antonio, pretore tra il 1480 e il 1481, marito di Caterina Scaccabarozzi; i Reina, con Pietro, che nel 1486 ebbe in dono da Ludovico il Moro il castello, anche se in parte diroccato; i Varese, che nel 1493 ottennero il feudo, con Ambrogio, illustre “medico”.
L´amministrazione del “feudo” consisteva nella riscossione delle tasse e dei diritti sul dazio e l´imbottato, prerogativa quest´ultima che rimase alla famiglia Varese anche nel XVIII secolo, quando risultava proprietaria di una delle due osterie esistenti. I Varese risiedevano nella casa situata in fondo all´attuale via XXV Aprile, ma solo dal 1612; anche se il feudo non rimase continuativamente in loro mani, riuscirono ad avere il privilegio del mercato settimanale già dal 1603 e forse a questa iniziativa andrebbe collegata l´edificazione dei portici nell´odierna via Roma.
A partire dal ´500 la ricostruzione storica risulta facilitata grazie alla possibilità di utilizzare i catasti, che, a differenza dei precedenti, da questo periodo in poi si susseguirono con una certa regolarità.
A metà del XVI secolo il catasto promosso dal Re spagnolo che governava il territorio dell´odierna Lombardia censì a parte le località di Cavoletto, Gaggianese e Micona che godevano di una certa autonomia impositiva rispetto a Rosate; questa situazione, non sempre favorevole per tali località, continuò fino al ´700 quando ebbe inizio il consolidamento delle condizioni attuali.
Per quanto riguarda il XVI secolo si conservano importanti dati statistici anche in campo religioso, grazie all´iniziativa dell´Arcivescovo Carlo Borromeo (santificato all´inizio del ´600); nel 1573 in occasione della visita alla pieve di Rosate venne redatta una mappa, che risulta particolarmente interessante per la conoscenza della situazione di un tempo, anche se non priva di errori di posizionamento di alcune località. In campo statistico-anagrafico si ebbe invece l´iniziativa dello “status animarum”, che venne ripetuta in altre occasioni, e quella del “Registro dei Battesimi e dei Morti”, documenti non studiati nel corso del presente lavoro per il particolare taglio architettonico-urbanistico.
Nel XVIII secolo il cosiddetto “catasto teresiano” riuscì ad evidenziare alcuni aspetti interessanti: il Borgo Grande presentava ancora spazi liberi per l´edificazione, soprattutto verso Est, mentre in Borgonuovo gli edifici risultavano più radi; era presente la strada di circonvallazione a Nord e ad Ovest, a fianco del cavo Resta; un fossato con acqua circondava ancora i resti del castello; varie abitazioni (anche nobili) facevano corona intorno alla chiesa prepositurale; orti e prati sorgevano in prossimità delle abitazioni; una strada collegava la cascina Confaloniera con il mulino di Pratomaggiore. Le case, o appartamenti, ad esclusione delle cascine, erano 168 e risultavano così suddivise: 68 case in affitto, 34 case da massaro, 2 da fattore, 58 case direttamente abitate dai possessori, 6 unità immobiiari costituenti l´unico mappale della canonica; un´altra casa era adibita a municipio, mentre due erano le osterie presenti. Per quanto concerne le cascine le uniche differenze rispetto alla situazione attuale riguardano le cascine Trinchera e Nuova, ricostruite nelle rispettive vicinanze, e le cascine Rancese e Marazzona, scomparse nel XIX secolo; scomparsi, rispetto a quel tempo, risultano oggi anche alcuni edifici agricoli verso Bettola, alcune case lungo la Mischia, compreso il mulino dei Buttintrocco, e la cappella di S. Ambrogio collegata all´ospedale.
La strada di circonvallazione, corrispondente all´odierna via omonima, venne realizzata per scopi viabilistici in un periodo piuttosto recente, ma su un´antica striscia di terreni interdetta all´edificazione per non intralciare le vicine opere di difesa, come testimonia la forma dei mappali adiacenti alla strada. Il lato Sud del paese sembra essere sguarnito di tale sistema, ma la presenza del mulino e della cascina Confaloniera, con la colombaia utilizzata come punto di avvistamento, poteva costituire un valido e sicuro baluardo difensivo. E´ probabile che questo sistema di difesa ricalcasse lo schema dei “chiosi” medioevali. Una conferma di quanto appena detto proviene dalla mappa del vicariato di Rosate, risalente al XVI secolo, nella quale l´abitato appare circondato da mura, benché privo del castello “nuovo”. A Sud anche prima della costruzione della cascina Confaloniera la forma dei mappali 540 e 541 potrebbe confermare l´esistenza di fortificazioni. Nella mappa settecentesca si possono notare altre situazioni interessanti. La “canonica´, costituitasi purtroppo in modo disorganico, risultava ancora composta da sei case dislocate intorno ad un cortile, con la chiesa di S. Maurizio a chiudere il lato Sud. La chiesa di S. Stefano era attorniata da diverse abitazioni che venivano a disegnare la tipica forma ovale riscontrabile anche in altri centri; tale situazione suggerisce la presenza del “castrum” medioevale, il castello “vecchio” degli Avogadri, formato semplicemente da una torre e da una palizzata con relativo fossato, la roggia Marazza; l´analogia della forma urbana tra Rosate, Busto Arsizio (VA) e Chiari (BS) risulta più evidente dal fatto che nei tre casi l´edificazione del successivo castello ´nuovo” avvenne lontano dal nucleo originario appena citato. Inoltre è possibile individuare la posizione delle antiche chiese di S. Maria, di S. Giovanni Battista, di S. Martino e di S. Maurizio, oggi non più esistenti con grave perdita anche dal punto di vista dell´arte. A questo periodo risale infine la costruzione dell´oratorio di S. Giuseppe, utilizzato, tra il 1762 e la fine del secolo, dall´ordine delle Orsoline, che gestivano l´attiguo collegio femminile.
Purtroppo la cartografia del XVIII secolo, a differenza di quella del secolo successivo, non è di grande aiuto per lo studio degli edifici, in quanto, mancando l´elaborato grafico relativo alla “seconda stazione”, non vengono riportate le divisioni dei mappali e le sagome dei fabbricati.
Una relazione risalente al 1855 ricorda che i 2141 abitanti vivevano in case costruite con muri di mattoni e calce, e con tetti di legno coperti da tegole; il paese viveva solo di agricoltura e particolarmente diffusa era la presenza di mulini e pile da riso.
Nel secolo scorso il ricambio di alcune famiglie portò ad una variazione della destinazione d´uso degli edifici; aumentò il numero dei mappali anche mediante semplice rifusione; il castello perse definitivamente il suo fossato, mentre l´abitato venne attraversato dal cavo Paù, in alcuni tratti intubato. La ricostruzione di S. Stefano (1836) coincise con la perdita di integrità della canonica, tant´è vero che in una sua porzione si insediò la Caserma dei Carabinieri; l´abitazione del coadiutore riuscì a resistere fino al secolo in corso, quando venne distrutta per far posto ad un nuovo edificio, mentre la chiesa di S. Maurizio venne demolita nel 1863 per consentire l´edificazione del nuovo municipio; altre porzioni vennero ritenute pericolanti già nel 1855. Alla fine del secolo scorso furono costruite le Scuole elementari in un´area abbastanza centrale. Alle due osterie esistenti se ne aggiunse una terza in via Daccò chiamata “L´Isola” e demolita in anni recenti; diverse erano le botteghe, che però non risultavano situate in Borgonuovo.
Infine per completare il quadro relativo all´evoluzione che ha subito Rosate nel tempo, si può ricordare che agli inizi del XX secolo si ebbe l´edificazione degli spazi ancora liberi sul lato Est di via Roma, verso il castello, con “case di ringhiera” realizzate in “cooperativa”. Ovviamente fino alla Seconda Guerra Mondiale l´incremento dei volumi residenziali rimase limitato, mentre nel periodo successivo al dopoguerra gli edifici costruiti aumentarono in modo consistente soprattutto in via Daccò, in via Garibaldi, sull´asse di via Allievi, tra il cavo Paù, via Roma e la circonvallazione, in zone che sì possono considerare d´espansione, anche se situate all´interno dell´anello difensivo precedentemente citato; nel nucleo antico vennero saturati gli spazi disponibili in modo diverso da zona a zona.
Da circa trent´anni Rosate non vive di sola agricoltura e il settore secondario (industria e artigianato di produzione) ha favorito lo sviluppo urbanistico; le zone d´espansione edilizia sono state concentrate attorno al nucleo antico di Rosate, ad esclusione del lato Sud.